Dal metodo Furio al metodo Merdone
Dispongo tutti i capi perfettamente suddivisi per categoria sul letto e creo pile ordinate, mettendo alle estremità superiori e inferiori le cose che si gualciscono meno, ripongo le scarpe nei sacchetti di stoffa, spruzzo la valigia col mio profumo del momento e riempio qualunque scomparto con metodica precisione, colmando gli eventuali spazi irregolari rimasti con oggetti piccoli quali foulard, sciarpe, occhiali.
Finisce sempre che qualcosa dentro non ci sta e dai buoni propositi alla Furio precipito nel metodo merdone.
Il metodo merdone consiste nell’aumentare il numero dei bagagli dall’auspicato 1 fino all’infinito.
Non so voi ma io odio il metodo merdone, eppure ci casco sempre.
Quando viaggio da sola, in aereo o in treno che sia, vorrei avere un solo pezzo a cui badare per ovvie ragioni di comodità, praticità, contenimento dell’ingombro, ecc.
Anche in auto è comunque scomodo avere mille borsoni perché in un viaggio più lungo e itinerante cambio spesso hotel e dunque fare il check-in per una notte arrivando alla reception con 6 bagagli – manco fossi Monica Bellucci al Festival del Cinema – è ridicolo, ma tant’è.
In occasione del viaggio marziano in Olanda di cui presto vi racconteremo er mejo ho voluto sfoggiare il mio nuovo trolley rigido e compatto color cipria perlato ma il meteo del nord Europa non aiuta, vuole l’outfit cipolla e gli strati di roba occupano subito spazio, compreso il gilet di pecora col quale volevo fare la foto davanti ai mulini a vento. Priorità.
Sicché le millemila bustine di stoffa che contenevano beauty-toeletta, make-up, farmacia-che-non-si-sa-mai e spine per ricaricare tutti i dispositivi sono finite in un sacchetto di nylon blu con le stelle verdi, affinché potessi portarlo in aereo e passare i controlli spacciandolo come borsa oltre al trolley-bagaglio-a-mano.
La ricostruzione del fattaccio
Succede che la mattina in cui io e Rossana avremmo lasciato Rotterdam per andare a L’Aia, abbiamo fatto il check-out dall’hotel e coi nostri bagagliucci sottobraccio siamo andate alla fermata del bus poiché, prima del viaggio, ci attendeva una modesta scofanata di pancakes.
Ci siamo sedute sulla panchina, Rossana instragrammava i suoi capelli rossi ambientati in Olanda, io agonizzavo in preda al torcicollo infame.
Arriva il bus, saliamo, colonizzo due posti, uno per me, uno per Rossana il trolley.
Approdiamo alla fermata col miraggio dei pancakes, scendiamo. O meglio: Rossana e i nostri amici scendono, io mi trascino giù ricolma di assenzio.
Esco per un attimo dallo stato di torpore del torcicollo e grido Rossanaaaaaaaa, ho lasciato un bagaglio alla fermata del buuuuuuuussssss!
Il mio sacchetto blu con le stelle verdi ripieno di toeletta, make-up e spine per ricaricare la vita.
Lascio il mio trolley a Rossana che intanto ha l’agio di ordinarsi assieme agli altri compagni di viaggio i pancake salati col bacon croccante e, in preda allo snocciolamento di tutti i Santi del calendario, risalgo sul bus per fare il percorso al contrario e confidare nel miracolo: ci sarà il mio sacchetto sotto alla panchina della fermata?
Raggiungo tutti con la ferale notizia e parlo con la Rotterdam che conta: qualora il sacchetto fosse ritrovato dovrebbero comunque passare almeno un paio di giorni prima che il centro oggetti smarriti ne venga a conoscenza e in possesso.