Arriva il momento in cui, nella vita di un giornalista, si scrive finalmente di quello che più si ama: libri? No, non adesso… Arte? Va bene, ma c’è anche altro…Moda? Sì, potrebbe essere, ma non stavolta. Oggi è il tempo della PASTA! Nello specifico, come se fosse una lettera d’amore, vorrei parlarvi dei primi piatti della tradizione romana: carbonara, amatriciana, gricia e cacio e pepe. Voi quale preferite? La scelta, lo so, è ardua, e non ci resta che provarle tutte. A proposito, lo sapete che praticamente nessuno tra questi piatti ha un’origine davvero romana al 100%?
I 4 mitici primi piatti della tradizione romana
M’hai provocato… e io me te magno. Sua maestà la carbonara
Curioso che uno dei piatti alla base della cucina romana sia nato solo alla metà del Novecento grazie… agli americani! Fu infatti probabilmente durante la seconda guerra mondiale che, mettendo insieme le razioni dell’esercito Usa, un cuoco bolognese (sì, bolognese) dà vita alla prima carbonara della storia. Ma come si prepara?
Cominciamo dalle basi: nella carbonara NON serve panna, cipolla, aglio o pancetta. Chi usa anche solo uno di questi ingredienti si guadagnerà lo sdegno eterno dei puristi, così come chi – in vena di sperimentazioni – vuole preparare una carbonara rivisitata o vegetariana: il risultato può essere delizioso, ma allora NON è carbonara. Per quella vera ci vogliono: uova, guanciale, pecorino, pepe e pasta (spaghetti über alles, ma qui vi concedo di sbizzarrirvi). Si cuoce la pasta AL DENTE (come se fosse necessario ribadirlo), nel frattempo si sbattono le uova con pepe e pecorino, e si abbandona al suo destino il guanciale tagliato a listarelle in una padella. Quando lo sentite sfrigolare è pronto. Scolate la pasta, unitela al guanciale – a fuoco spento – e all’uovo sbattuto, mescolando velocemente. Non serve altro.

Amatriciana mon amour
Anche in questo caso dobbiamo parlare di una tradizione molto recente, se è vero che l’amatriciana come la intendiamo noi (il nome fa riferimento alla cittadina di Amatrice; furono forse i pastori di queste campagne, durante la transumanza, a far conoscere questo piatto ai romani) compare per la prima volta ne Il talismano della felicità di Ada Boni nel 1927. Di certo una preparazione del genere (anche se non codificata) esiste da secoli ed è, come molte ricette della cucina italiana, il risultato del mettere insieme quel che c’era in dispensa: pasta (bucatini, ça va sans dire), guanciale, pomodori (vanno bene anche i pelati se avete fame e fretta) e pecorino.
Anche qui si parte dal guanciale ben rosolato in padella, senza altro condimento: quando è pronto, di solito ne tengo da parte un pochino perché rimanga croccante, al resto aggiungo i pelati o i pomodori freschi, spellati e puliti in modo che si formi un bel sughetto piccante il giusto (siate cauti col peperoncino). Quando la pasta è AL DENTE la scolate e la versate nel sugo già pronto, abbondando con il pecorino. Si aggiungono i cubetti di guanciale lasciati da parte e… che altro dire? Ah, vestitevi di scuro o tenete da parte una camicia di ricambio: il bucatino non perdona, la macchia è assicurata.

Gricia, non grigia
Prendete un’amatriciana, privatela del pomodoro ed ecco a voi la gricia. In realtà sarebbe questa ricetta ad aver ispirato l’altra, ma l’origine nei piccoli centri attorno a Roma (forse il nome deriva dalla cittadina di Grisciano, ma chissà) e l’utilizzo di ingredienti semplici è lo stesso. E pure la ricetta è, tranne che per l’assenza del pomodoro, del tutto simile. La sola differenza è che qui al posto del peperoncino ci va una generosa spolverata di pepe. E non serve che ve lo dica, la pasta dovrà essere AL DENTE.

L’opzione veg
Pare strano il solo pensiero ma, in una cucina fatta di trippa, frattaglie, coda, guanciale e altri ingredienti più o meno commestibili, esiste anche un’opzione vegetariana: la cacio e pepe. E pure qua tiriamo in ballo i soliti pastori dell’agro romano che se ne andavano in giro con lo stretto indispensabile tra cui, appunto, pepe, pecorino e spaghetti essiccati.
Sembra la ricetta più semplice da preparare ma è quella che si rivela più insidiosa: il rischio di ricavare un’unica grande forchettata inestricabile di tonnarelli, un vero e proprio gomitolo di carboidrati, è infatti altissima. Per questo è necessaria la giusta misura nell’unire insieme il pecorino, il pepe e quel tanto che basta dell’acqua di cottura della pasta per avere una cremina non troppo densa che condisca alla perfezione la pasta. Qui si procede per tentativi: prima o poi riuscirà… ma non è detto che sia per sempre. La cacio e pepe perfetta presuppone una congiunzione astrale che non sempre si ripete.

Per riepilogare ecco un semplice schemino… facile no?

2 Commenti
Pura poesia per me che sono romana 🙂 ammetto che la mia preferita è lei: la carbonara!
È sempre una bella lotta! Di solito quando vengo a Roma cerco di stare abbastanza pasti per mangiarle tutte!!! 😀