L’estate è quel periodo in cui, dopo il Natale, tendiamo a comprare più ninnoli, souvenir e oggetti inutili rispetto al resto dell’anno. Con la scusa del regalo da portare alle nonne compriamo calamite, rosari, bracciali, burattini, ceramiche, piccole riproduzioni di monumenti e grembiuli da cucina dal discutibile gusto.
Non tutti questi oggetti e amuleti sono però privi di significato, anzi, la maggior parte di loro sono legati a filo diretto con la storia o con le leggende italiane.
Insomma, dimmi che souvenir hai comprato e ti dirò dove sei stato in vacanza.
I souvenir napoletani
Se siete stati ad abbuffarvi di pasta e pizza a Napoli, avete fatto un bagno in Costiera Amalfitana o avete assaggiato i limoni della penisola Sorrentina, avrete sicuramente fatto incetta di ceramiche e corni portafortuna.

Il corno è una delle testimonianze su come il sacro e il profano si mescolino quotidianamente nella vita dei napoletani.
In epoca medioevale, in tutta Europa si diffonde l’usanza degli amuleti come portafortuna o buon augurio e a Napoli, città particolarmente superstiziosa, dove la gente aveva bisogno di protezione dalla malasorte, si inizia a produrne il corno. Per le prime produzioni si scelse il corallo, materiale ritenuto magico e in grado di scacciare il malocchio dalle donne incinte. Il colore di questo materiale lo collega direttamente al sangue e al fuoco, simboli della potenza e della vita che arde oltre che alla vittoria sui nemici in battaglia.

Una cosa che non tutti sanno
La tradizione si è tramandata da artigiano in artigiano e vuole che esso sia realizzato a mano. Una cosa che la maggior parte dei turisti non conosce è che il corno non si compra per se stessi ma si regala solamente, altrimenti il suo potere scaramantico non funziona.
Solitamente, una volta entrati in possesso del corno, lo si tiene sempre con sé.
Il corno di terracotta lo si sfrega sullo zerbino di casa prima di andare ad abitarci e c’è chi lo espone nel proprio negozio, chi lo strofina prima di un affare o di un’uscita al lotto, gioco che Matilde Serao definiva la malattia incurabile dei napoletani.
Le leggende dei souvenir siciliani
Se siete stati in Sicilia avete sicuramente visto teste di Moro in ogni vetrina del centro storico di Palermo o Catania, su ogni balcone di Taormina e come centrotavola su ogni tavolino a Marzamemi.
L’effige del Moro è riprodotta in ogni misura ma la maggior parte delle volte ha la forma di un vaso anche se non mancano ovviamente calamite e cartoline che riportano la sua immagine.


Secondo la leggenda…
… nel pieno della dominazione dei Mori in Sicilia, nel quartiere arabo di Palermo Kalsa, una bellissima fanciulla viveva le sue giornate curando le piante del suo balcone. Un giorno fu notata da un giovane Moro che non esitò un attimo a dichiararle il suo amore. La giovane accolse e ricambiò con passione il sentimento del corteggiatore. Dopo aver vissuto il loro amore, la fanciulla apprese che il moro era sul punto di tornare in patria da moglie e figli e, amareggiata per quell’amore tradito che si accingeva ora ad abbandonarla, decise di vendicarsi. Il Moro non l’avrebbe abbandonata e volto di quel giovane sarebbe dovuto rimanere al suo fianco per sempre, perciò senza esitazione gli tagliò la testa e dopo avergli fatto lo scalpo vi pose all’interno un germoglio di basilico e depose la testa sul suo balcone. I vicini, guardando con invidia la pianta che maturava in quel particolare vaso a forma di Testa di Moro, si fecero realizzare vasi in terracotta che riproponevano le stesse fattezze di quello amorevolmente custodito dalla fanciulla!

Gli oggetti gemelli: le pigne e i pumi
In Sicilia c’è anche un altro oggetto di ceramica o terracotta che possiede un gemello in Puglia. La Pigna Siciliana e il Pumo Pugliese. La pigna della tradizione popolare siciliana è simbolo di salute e fortuna, tanto da trovarla sopra le porte delle case, sui balconi, sui cancelli di antiche ville e giardini, come metaforico ponte tra l’umano e il divino, sulle facciate di chiese, conventi e, persino, sui troni di re e pontefici.
La pigna siciliana
La Pigna simboleggia la forza vitale, l’immortalità, la divinità, la fecondità e la forza rigeneratrice per i semi che contiene. La tradizione popolare Siciliana ritiene che sia utile regalare delle pigne da appendere sopra la porta di casa come augurio di salute e buona fortuna alle famiglia che vi abita.
La leggenda racconta che in Sicilia viveva una famiglia molto povera che per sfamarsi e scaldarsi raccoglieva pigne e le rivendeva. Uno spirito della foresta chiese alla donna il motivo per cui rubasse le pigne e la capofamiglia gli raccontò della sua vita povera. Lo spirito le suggerì di raccogliere le pigne di un’altra foresta e con grande stupore vide che le pigne erano d’argento. Con la vendita di quelle pigne d’argento la famiglia non soffrì più la fame.

Il pumo salentino
In ogni vetrina salentina, come centrotavola o sui balconi delle case pugliesi, il pumo campeggia altezzoso e colorato. Rappresenta un bocciolo del fiore di acanto che è simbolo di prosperità e di fecondità, ma anche di castità, immortalità e resurrezione. In Puglia è di buon auspicio e viene anche usato come portafortuna.
Il termine “pumo” deriva dal latino “pomum”, che significa frutto, e si ricollega direttamente al culto della dea latina Pomona, antica divinità dei frutti.


I souvenir fiorentini
A Firenze i negozietti di souvenir si riempiono di nasi lunghi e cappelli rossi a punta nelle mille forme che assume Pinocchio. Ci sono anche in questo caso calamite, teste penzolanti da appendere alle chiavi, orologi, marionette e piccoli pupazzi a molla.
Il Pinocchio di Collodi diventa souvenir nelle città che hanno ispirato l’autore fiorentino durante la stesura del libro.
Vi voglio svelare una curiosità: lo sapevate che Pinocchio non era propriamente beneamato dal suo autore? Collodi dopo 8 capitoli lo definisce “una bambinata” e chiede all’editore che, se avesse avuto intenzione di pubblicarlo, avrebbe dovuto pagarlo bene, altrimenti non gli sarebbe di certo venuta voglia di “seguitarlo”. L’ottavo capitolo terminava con l’impiccagione del burattino, il pubblico non apprezzò quel finale e l’autore fiorentino dovette “seguitarlo” per forza!

I ninnoli della capitale
A Roma ci si perde tra ninnoli e cianfrusaglie. I più piccoli comprano gli elmetti dei gladiatori coi pennacchi rossi e gli adulti arrabattano miniature di Colosseo e grembiuli da cucina con il David di Michelangelo. Sì, il David è fiorentino ma per la vicinanza di Michelangelo alla capitale è sicuramente diventato un monumento trasversale.
Certamente le targhette o le calamite con la scritta SPQR sono le più vendute.
Ma, sapete questa sigla che significato ha?
Rappresenta l’acronimo del latino “Senatus Populus Quirites Romani” trasformato poi in “Senatus Populusque Romanus” che in italiano si traduce letteralmente in “Il Senato e il Popolo Romano”. Ma il “quirites” romano è tutto ciò che contraddistingue le attività di un cittadino dell’antica Roma.
Nei secoli le interpretazioni di S.P.Q.R. sono state soggette a vari cambiamenti, come per esempio Sapiens Populus Quaerit Romam “Un popolo saggio ama Roma” e Sanctus Petrus Quiescit Romae ovvero “San Pietro riposa a Roma”.
Nel 1994 Carlo Vanzina dirige un film che nel titolo ha questa sigla che assume però un significato particolarmente differente da quello originale latino.
“Sono porci questi romani” recita Massimo Boldi nel finale della pellicola.

Le maschere veneziane
Passeggiare per le calli veneziane vuol dire farsi ammaliare dalle maschere colorate legate alla tradizione del carnevale, anche se le prime testimonianze risalgono al ‘200. L’esplosione di questa tradizione si fa risalire al 1700 e alla prima esplosione del Carnevale.
Le botteghe di “maschereri” creano pezzi artigianali con ogni tipo di materiale, da quelli più pregiati alla semplice cartapesta per permetterne l’acquisto ad ogni tasca. Tra le maschere più conosciute: “bauta”, che lascia libera la bocca, “moreta” riservata alle donne, “gnaga”, il muso di gatto utilizzato dagli uomini per travestirsi da donna e il medico della peste, la maschera nel cui lungo naso i medici del ‘500 inserivano aromi per mitigare l’odore della peste.

Il duomo e le fontane di Milano
Nel 2009 a Milano, Silvio Berlusconi dopo un comizio milanese venne colpito dalla miniatura del duomo di Milano per mano di una persona poi giudicata “incapace di intendere e di volere”.
Fu cosi che la miniatura del duomo raggiunse un notevole picco di vendite tra bancarelle e negozi specializzati che le vendono di ogni dimensione e colore, persino all’interno di palle di vetro con la neve artificiale, sebbene a Milano la neve si veda ben poco!

Le Vedovelle: gli abbeveratoi del popolo
Assieme alla miniatura del duomo gotico sono famose anche quelle delle “vedovelle”, le fontanelle milanesi color verde scuro con lo stemma della città.
Il nome di Vedovella deriva dal filo d’acqua incessante che sgorga dal loro rubinetto, simile al pianto perenne di una vedova inconsolabile.
L’altro nome delle fontanine è “Drago-Verde” e deriva dal loro rubinetto in ottone a forma di drago. Tipica era o è, tra i milanesi, l’usanza di dire: “andiamo a bere al bar del drago verde”! (Tanto è gratis!).


Di souvenir ce ne sono altri mille e forse molti altri avranno una storia legata alla loro esistenza sui banchi di negozi e bancarelle. Ma voi cosa avete portato a casa dalle vostre vacanze?
Siete ancora traumatizzati dal rientro dalle vacanze?
Vi consiglio la lettura di questo post di archivio… per riderci un po’ su.
2 Commenti
Mi spiace, ma SPQR sta per ” Senatus PopulusQue Romanus,dove la particella – que è enclitica e sta per “et” = Il senato ed il popolo romano”.
Brava Valeria, hai scritto esattamente ciò che ha scritto già Ilaria, semplicemente aggiungendo una D eufonica che in italiano corrente non è più consuetudine stilistica (vedi Crusca: https://accademiadellacrusca.it/it/consulenza/sulla-d-eufonica/15). Torna presto a trovarci su Marte! 🙂