Prosecco contro Champagne. Parmigiano contro Camembert. Dior contro Prada. Roma contro Parigi. Queste sono solo alcune delle innumerevoli questioni aperte con i nostri cugini d’Oltralpe.
Uno dei motivi per cui i nostri cari amici francesi non sono molto amati è sicuramente il fatto che sono un filino (giusto poco poco, eh) convinti di essere THE BEST e FUCK THE REST. Primi in tutto, i più bravi in tutto, gli inventori di tutto. Ma sarà vero?
La Redazione Marziana ha però indagato tra le pieghe della storia e negli anfratti dell’Internet, per smascherare i nostri vili cugini mangia-lumache: siete curiose di scoprire quante cose francesi inventate da italiani ci sono?

Cominciamo con un RVM
Pochi giorni fa, su consiglio di una lettrice marziana, ho visto il documentario L’invention du luxe à la française, disponibile su Arte.tv (e su YouTube), in francese, inglese e tedesco.
Il succo della storia è questo: a partire dal regno di Luigi XIV, la Francia aumentò le esportazioni del 400%, grazie alla produzione di beni di lusso raffinatissimi.

Ma qui casca l’asino. Il buon Luigi, visto che i suoi sudditi non erano proprio i draghi dell’artigianato, ha ben pensato di carpire (non sempre chiedendo per favore, ecco) i segreti dei migliori al mondo. In particolare rubacchiò dai veneziani per i vetri, dai cinesi per la porcellana e dagli olandesi per la tessitura e decorazione di stoffe pregiate.
Sì raga, avete capito bene: i francesi taroccavano i vetri di Murano.
Tecnicamente taroccavano pure le porcellane cinesi che, pensandoci, visto dove ha sede al giorno d’oggi l’industria del falso, è il colmo dei colmi.

È stato proprio questo documentario a farmi iniziare la ricerca sulle cose francesi inventate dagli italiani. E, se questo format vi interessa, potremo proseguire la nostra indagine anche sulle altre ruberie in giro per il mondo.
Non a caso, Lupin è francese!
Cose francesi inventate da italiani: lo scandalo del bidet
Uno degli sfottò più divertenti tra italiani e francesi riguarda proprio questo sanitario che, se per noi è cosa di ogni giorno, nelle case dei nostri cari cugini è più introvabile del lievito in tempi di lockdown.
Nonostante il nome francese, che significa “cavallino”, questo caro amico dell’igiene intima è stato inventato in Italia, pare a Firenze, nel XVI secolo. Fu Maria de’ Medici a importarlo in Francia, in occasione del suo matrimonio con Enrico IV di Borbone.
Ovviamente all’epoca non era dotato di rubinetto e si utilizzava come un catino, riempiendolo di acqua calda e varie essenze floreali.


A Parigi non venne posizionato nei bagni, ma nel centro di alcune anticamere e divenne un accessorio a uso esclusivo delle donne. L’uso era comunque molto raro perché, come forse saprete, la corte di Francia non era famosa per l’igiene personale: pare infatti che il Re Sole si sia fatto solo quattro bagni in tutta la vita.

Successivamente la sua diffusione venne penalizzata anche dal fatto che venne associato alle donne di malaffare, in quanto spesso era utilizzato nelle case d’appuntamento per prevenire le malattie.


Il motivo per cui oggi non sia particolarmente diffuso in Francia rimane sconosciuto, anche se una delle cause pare essere la dimensione eccessivamente ridotta dei bagni.
Ai posteri l’ardua sentenza.


La roulette è tra le cose francesi inventate da italiani!
Di roulette se ne conoscono due: quella russa, a cui è decisamente meglio non giocare, e quella classica “alla francese” tipica dei casinò.
Sebbene la diffusione di questo gioco si debba proprio alla corte di Francia, dove andava alla grande nel Settecento, la sua invenzione è italianissima, anche se non si conosce il nome del suo inventore.

Secondo alcuni infatti, già gli antichi romani conoscevano questo gioco, anche se le regole erano leggermente diverse da quelle odierne. Per dovere di cronaca faccio presente che, secondo altre fonti, la roulette abbia origini cinesi e che sia stata introdotta in Europa grazie ai commerci con Venezia.
I tacchi alti: una diatriba che fa il giro del mondo
La moda forse è uno dei settori dove la rivalità Francia-Italia raggiunge i suoi apici, soprattutto quando si parla di chi ha inventato cosa.
Non iniziamo nemmeno con la diatriba calcistica perché sento già in sottofondo Popopopopopopo, Caressa, Cannavaro che alza la coppa del mondo e poi finisce che mi emoziono pensando al 2006, quando ancora non sapevo cosa fosse la crema antirughe.

Torniamo a noi. I tacchi alti sono un esempio perfetto e vi spiego anche perché.
Tra Seicento e Settecento le scarpine col tacco si diffusero a macchia d’olio in Francia, soprattutto fra le nobildonne di corte. Ma chi aveva avuto quest’idea geniale?

I primi tacchi, intesi come “suole piatte ma rialzate” fanno la loro comparsa già nell’Antico Egitto, dove erano usati per rituali religiosi. Nell’Antica Grecia invece si usavano durante gli spettacoli teatrali, affinché il pubblico riconoscesse più facilmente i personaggi.
Erano diffusi anche in Turchia, dove erano utilizzati esclusivamente da eunuchi e concubine. Ebbero anche una grandissima diffusione a Venezia, soprattutto come protezione dal fango e dalla sporcizia, più che come scelta di moda.
L’inventore, o meglio l’inventrice, del tacco alto come lo conosciamo oggi però è stata Caterina de’ Medici, di cui abbiamo già parlato e di cui parleremo anche in seguito. La futura regina di Francia era piuttosto bassina e per essere “all’altezza” del marito, il duca di Orleans e futuro re di Francia, si fece realizzare delle scarpe con un tacco abbastanza sottile, alto circa 7 centimetri.



Christian Louboutin e il Re Sole
I tacchi per i nostri cugini d’oltralpe sono diventati addirittura un simbolo di nobiltà: il Re Sole infatti, impose che tutte le scarpe dei nobili della sua corte avessero la suola rossa, in modo da essere immediatamente riconoscibili. Questa storia vi ricorda qualcosa? Certo: le suole rosse sono il marchio di fabbrica di Christian Louboutin, che si è ispirato proprio a questa moda in auge a Versailles per le sue famosissime pumps.


Le cose francesi inventate dagli italiani che non ti aspetti: è il turno dell’eau de parfume!
Nonostante, per tradizione, i francesi siano tra i maggiori consumatori di profumo e le principali case di produzione siano proprio in Francia, l’eau de parfume è tra le cose francesi inventate dagli italiani.
Indovinate un po’? Anche in questo caso dobbiamo ringraziare Caterina de’ Medici.
Di questa storia abbiamo già parlato nell’articolo dedicato ai prodotti di Officina Santa Maria Novella, ma vi riassumo velocemente la vicenda.

Caterina era solita cospargersi corpo e capelli delle fragranze realizzate dai monaci di Santa Maria Novella.
Decise quindi di portare con sé in Francia il suo profumiere, Renato Bianco, soprannominato poi René le Florentin, che fu l’inventore dell’Acqua della Regina, un profumo a base di arancia e bergamotto di Calabria, che immediatamente spopolò a Parigi.

René quindi fu incaricato di produrre profumi per tutta la corte. Divenne di moda profumare non solo il corpo e i capelli, ma anche guanti, cinture e scarpe, soprattutto per coprire i cattivi odori derivanti dalla scarsissima igiene personale.
La nouvelle cuisine ha fatto un viaggio in Toscana
Non voglio parlare solo di cose francesi inventate da italiani, ma anche di piatti tipici, che così tipici però non sono. Andiamo con ordine e facciamo un salto indietro nel tempo, fino al Royal Wedding più atteso del Cinquecento, quello tra Caterina de’ Medici e Enrico d’Orléans.
La giovane fiorentina era determinata a portare a Parigi il più possibile della sua città e della sua cultura, infatti, oltre al profumo realizzato per lei dai monaci dell’Officina di Santa Maria Novella, introdusse l’uso delle mutande e si portò appresso una schiera di cuochi toscani, fiorentini e siciliani.

La rivoluzione di Caterina a tavola
Quella culinaria fu una delle rivoluzioni più sconvolgenti. Caterina introdusse l’uso di cambiare i piatti tra una portata e l’altra e caldeggiò l’utilizzo della forchetta, mettendo fine alla tradizione di mangiare tutto con le mani.
La regina inoltre, da brava studentessa fuori sede, si fece mandare il pacco da giù.
Le tavole francesi quindi conobbero anche l’olio d’oliva, gli spinaci, i carciofi (di cui la regina era particolarmente ghiotta), la pasta, il pane bianco e i sorbetti di frutta.

La cucina francese è una delle più amate al mondo, ma senza il contributo di Caterina e dei suoi cuochi italiani, forse alcuni dei piatti per cui è più famosa non esisterebbero. Scopriamo insieme quali.
L’anatra all’arancia
Il Canard à l’orange, la cara anatra all’arancia, ha un antenato fiorentino: il Papero al Melarancio.
Pare che questo piatto fosse stato mangiato proprio al matrimonio di Enrico e Caterina, in omaggio alle origini della sposa. L’abbinamento carne/frutta ha radici nella cucina araba e sicula e pare si diffuse a Firenze già nei primi del Quattrocento.

La zuppa di cipolle
La Soup d’oignon, deliziosa zuppa di cipolle, caposaldo della cucina francese è nata dalla carabaccia, una zuppa di pane di cui esistono due versioni: una “povera” con cipolle stufate, sedano e carote; e una “ricca“, a base di cipolle di Tropea.
Enrico d’Orléans amava particolarmente questo piatto: forse è per questo che Caterina dormiva in un’altra stanza?
Crêpe o pezzola?
Le crêpes sono nate nelle cucine della campagna toscana con il nome di “pezzole della nonna”, sono poi passate per Firenze e infine hanno raggiunto Parigi.
Erano delle crespelle preparate con l’antenata della besciamella, la “salsa colla”, ottenuta mescolando latte, brodo di carne e spezie e panna liquida.


Astenersi deboli di cuore
Ora vi chiedo di sedervi perché io ho avuto un mancamento quando ho letto questa notizia. I macarons non sono affatto francesi!
Il loro nome deriva da “ammaccare” e pare che siano nati a Venezia all’inizio del Cinquecento. Anche questi vennero serviti al matrimonio reale.
Francesi o non francesi comunque, Ladurée e Pierre Hermé non si toccano assolutamente: sono monumenti nazionali.


Altro mancamento: i profiterole. Ebbene sì, secondo alcuni anche questo dolce ha origini italiane. Pare si tratti di una variante del “bongo”, un dolce al cioccolato tipicamente fiorentino, molto diffuso nel Cinquecento.
I pareri a riguardo però sono molto controversi.