Ultimamente non si parla d’altro: Dinner Club ha entusiasmato tutti, anche me.
Se non l’avete ancora visto sintonizzatevi su Amazon Prime Video e preparatevi a scoprire un’Italia piuttosto diversa da quella mostrata dai soliti programmi di cucina mainstream, e adesso vi dico anche il perché.
Partiamo dall’inizio: affermazioni forti
Ce ne siamo accorti tutti: l’ultimo decennio è successo qualcosa al mondo del cibo. Non riesco a individuare la miccia, non è nemmeno questa la sede per farlo, ma la cucina si è impadronita di ogni cosa.
Lasciamo stare che siamo il popolo che parla di mangiare mentre mangia, con una quasi anomala presenza di nonne che ci hanno allevati a ragù e scarpetta.
Parliamo, piuttosto, di televisione. Analizzando l’ultima decade o giù di lì, infatti, la presenza del cibo in TV è stata direttamente proporzionale a quella delle vallette quando “il Berlu” dominava il mondo.

Follia culinaria collettiva
Lo ricordo benissimo il corso sulla ghiaccia reale tenuto dalla pastry chef che aveva studiato in Inghilterra, alla corte di non so quale guru del cake design. Come dimenticare, poi, tutte quelle signore sulla cinquantina che imparavano l’arte scultorea della torta. Ricordo il boom di Buddy Valastro, la pasta di zucchero e gli scaffali dei negozi di casalinghi pieni di utensili fra il rosa e il lilla che servivano a decorare torte.
Il buon Buddy castalimenti.it
Ricordo anche il tempo ormai lontano in cui scrivere un libro di cucina non era prerogativa proprio di tutti, ma non posso dire di essermi salvata dall’invasione dei ricettari, anzi, l’ho altamente foraggiata (vedasi la mia libreria).
Benedetta Rossi abita da tempo su Food Network e Cortesie per gli ospiti va in onda h24 su Real Time. Gli chef, ormai, sono diventati i nuovi sex simbol del piccolo schermo, nessuno parla più di Raul Bova da quando Damiano Carrara conduce Bake Off.
Ciò che manca da fin troppo tempo è l’autenticità.
Antonella Clerici | ricettasprint.it Benedetta Rossi | ricettasprint.it Damiano Carrara I giudici di Cortesie per gli ospiti
Dinner Club e il cambio di passo (che forse è costruito a tavolino, ma va bene così)
Analizziamo in breve il format.
L’imperatore della cucina stellata Carlo Cracco guida sei mitici personaggi alla scoperta di alcune specialità enogastronomiche italiane. Nel cast: Luciana Litizzetto, Fabio De Luigi, Sabrina Ferilli, Diego Abatantuono, Valerio Mastrandrea e Pier Francesco Favino.

Ogni puntata è dedicata a una zona d’Italia differente e documenta il viaggio dello chef con il suo compagno d’eccezione. L’esperienza vissuta viene raccontata al resto del gruppo durante una cena, in cui chef e compagno dovranno preparare e servire i piatti appresi nei luoghi visitati.
All’inizio sembra di essere davanti alla versione culinaria e più adulta di LOL.
L’intenzione sembra chiara: prendi uno chef stellato e piacione, aggiungi una manciata di attori famosi e straordinariamente bravi, ci butti un po’ di buon cibo all’italiana, cuoci per sei puntate il tuo pubblico a fuoco lento e il gioco è fatto. Ma non è proprio così.

Dinner Club esplora l’Italia che mancava
Ho provato a paragonare Dinner Club a qualche altro programma sul cibo del nostro “bel paese”, ma nulla. Non è Linea verde, né tantomeno L’Italia a morsi. Non ha nemmeno nulla a che vedere con i camionisti di chef Rubio. Cosa cambia?
Per venire rapidamente al sodo, il cuore del cambiamento risiede innanzitutto nella selezione delle mete di viaggio. Si comincia dal Po, con i suoi verdi, il ceruleo, la malinconia dei suoi paesaggi e la rudezza di chi lo popola, in un percorso fra sapori inediti e non convenzionali fino alla laguna di Venezia.
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Della Sicilia – ultima puntata – non si visita la zona orientale, che è quella più battuta, e non si dà solo spazio a cassata e cannoli (i cannoli comunque ci sono), si fa cenno, piuttosto, alla cucina benedettina. È proprio nei monasteri e nei conventi che sono nati alcuni dei più buoni dolci della tradizione siciliana.
Una puntata dopo l’altra si nobilitano le frattaglie, l’anguilla e i piatti poveri, senza ostentare né sottolineare il valore immenso di questa operazione. Il segreto del successo, infatti, sta nella leggerezza con cui ogni tema culinario viene trattato.
Un programma che accontenta tutti
Incredibilmente Dinner Club è forse il programma di cucina più democratico mai visto. Ai più piace perché si parla di cibo e perché ha un cast esilarante. Ai meno, cioè a me, piace perché finalmente si parla di cibo vero (la strada è lunga e questo dovrebbe essere un punto di partenza).

E poi lui: Cracco
C’è un plus di cui ancora non ho parlato: Carlo Cracco.
Pur rimanendo fedele al suo personaggio, in questa serie lo chef si rivela, raccontando molto di sé nei momenti d’intimità con gli attori, che lo spingono a un’interazione decisamente meno rigida di quella con gli aspiranti cuochi di MasterChef.
Prime Video & Amazon Studios via vanityfair.it
Prime Video & Amazon Studios via lascimmiapensa.com
Prime Video & Amazon Studios via ilmattino.it
È un Cracco che insegna, puntualizza, sentenzia. Ma dove comincia la sua naturale inclinazione alla pesantezza, interviene l’esuberanza briosa dei suoi colleghi viaggiatori, così l’equilibrio è perfetto. La Litizzetto gli dà della “testa di cazzomarro” (polpettone di frattaglie pugliese), Favino lo canzona perché si porta dietro la carta igienica, Mastrandrea riesce a essere più pesante di lui e farlo sembrare un simpaticone, De Luigi e Abatantuono pazzeschi e la Ferilli talmente bella e simpatica da inebetire.
Conclusione e un lungo applauso
Con un cast del genere ci si domanda quanto questi attori siano reali. Con quel taglio “alla Özpetek” che affascina e conquista, Dinner Club è probabilmente un prodotto talmente ben costruito da ingannare anche i più attenti.
Che sia copione o realtà non è rilevante, perché l’interpretazione non svilisce l’oggetto del discorso, non mortifica i veri protagonisti: l’Italia, le sue tradizioni, i suoi piatti e i suoi produttori, massaie, pescatori, allevatori e chef.
Sono convinta sia il programma che chiude un po’ il cerchio su tutti questi anni di “food-follia collettiva”, riportando –finalmente – il focus sul cibo, quello vero.
