Parola d’ordine: fritto. Così si presentano i dolci tipici di Carnevale ed è per questo che li amiamo.
Non solo costumi, coriandoli e stelle filanti, quindi: il Carnevale è un momento di scorpacciate e convivialità in cui concedersi qualche ghiottoneria senza sensi di colpa. Certo, arriva poco dopo le abbuffate natalizie e anticipa di non molto le overdose da cioccolato pasquali, ma ha il diritto di farci ingrassare anche lui, come tutte le più nobili festività dell’anno.
Il Carnevale nasce per abbandonare le inibizioni e godersi la vita
Si deve tornare parecchio indietro nel tempo per cercare le origini di questa festività, immaginando i Saturniali della Roma antica o le feste dionisiache del periodo classico greco, occasioni in cui ci si abbandonava ai vizi, al gioco e allo scherzo e per giunta in maschera, così nessuno sarebbe stato riconosciuto e giudicato.
Il Carnevale non ha una data fissa, dipende da quando cade Pasqua. L’origine del nome, infatti, deriva dal latino carnem levare – levare la carne – espressione direttamente collegata alle restrizioni quaresimali. Un ultimo momento d’eccesso, quindi, prima di arrendersi a rinuncia e rigore.
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La madre di tutti i festeggiamenti
Non ditemi che sono di parte, è Venezia la regina del Carnevale. Quando andavo all’università era il periodo che detestavo di più, perché la città si riempiva di turisti (come se per tutto il resto dell’anno se ne sentisse la mancanza) e i treni diventavano praticamente inagibili: così pieni da scoppiare!
Ogni tanto io e delle amiche ci mettevamo per strada, improvvisando un truccabimbi (ah, cosa si poteva fare prima della pandemia!) e quelle erano le occasioni in cui, invece, mi godevo tutta la spensieratezza della festa.
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I dolci tipici di Carnevale veneziani
LE FRITTELLE
Se penso che una volta venivano inserite in uno spiedo, così da poterle mangiare ancora belle calde senza ungersi le mani con l’olio della frittura, io mi emoziono.
Le “fritoe” non riempiono solo le pasticcerie di “Venexia”, ma spopolano in tutta la regione e appaiono molto prima che il Carnevale cominci.

Nel ‘700 vennero proclamate “Dolce Nazionale dello Stato Veneto” e lo sarebbero tutt’oggi se, come qualcuno vorrebbe, il Veneto fosse uno stato.
Le classiche, chiamate proprio “veneziane”, hanno solo l’uvetta, poi ci sono le ripiene, che sono un po’ più grandi e vengono ormai farcite con tutte le creme possibili e immaginabili.
Per chi volesse cimentarsi qui su Vita su Marte c’è la versione di nonna Norma, frittelle belle ricche e goduriose.
I CROSTOLI ovvero le CHIACCHIERE ma anche…
In epoca romana si chiamavano “frictilia” e si preparavano proprio in occasione dei Saturniali. Hanno uno spirito decisamente semplice, ma prepararli a regola d’arte non è per nulla scontato.
In questo caso parto da Venezia per parlare di tutta l’Italia, perché le chiacchiere sono un dolce un po’ universale.
Hanno moltissimi nomi, infatti, per elencarne qualcuno: bugie in Piemonte e Liguria, rosoni a Modena e Romagna, merveilles ad Aosta e maraviglias in Sardegna.
A Venezia li chiamano galàni, mentre in terra ferma sono semplicemente crostoli. Pare ci sia una differenza fra i due comunque: i galàni sono strisce di pasta tagliata a forma di nastro, mentre i crostoli hanno la tipica forma rettangolare e, qualche volta, il bordo zigzagato.
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LE CASTAGNOLE
Come suggerisce il nome, l’aspetto richiama quello delle castagne, specialmente per dimensioni. Ed è proprio il loro formato contenuto a renderle micidiali, perché si mangiano una dopo l’altra, senza interruzione.
Anche questo dolce corre da nord a sud un po’ in tutt’Italia ed è certamente fra i più conosciuti.

I dolci tipici di Carnevale in giro per l’Italia
I KRAPFEN DELL’ALTO ADIGE
Come l’ultimo pasto per un detenuto, il Krapfen esprime perfettamente il concetto dell’ultimo stravizio prima della Quaresima.
Questa bomba fritta, farcita con marmellata o crema, ti scoppia letteralmente in bocca, come in un sogno a occhi aperti.
Si tratta di un dolce tedesco di antiche origini: alla fine del Seicento, la pasticciera viennese Cäcilie Krapf sostenne di averlo inventato lei per prima ma… no: ci sono le prove che i deliziosi krapfen risalgano al 1485.


I TORTELLI MILANESI
A Milano il Carnevale Ambrosiano dura ben 4 giorni in più, perché non si conclude con il martedì grasso, ma con il sabato grasso.
Così i milanesi hanno più tempo per fare indigestione di farsòe: bignè molto lievitati e accuratamente fritti, farciti con creme, marmellata, uvetta e cubetti di mela (quelli con la mela si chiamano làciàditt).

LA SCHIACCIATA FIORENTINA
Esiste addirittura un concorso che premia la migliore schiacciata di Firenze e questo ci fa comprendere quanto sia presa sul serio in patria.
Chiamata anche “schiaccia unta”, per la generosa quantità di strutto che conteneva, arriva direttamente dalla tradizione contadina, legata al periodo in cui veniva ammazzato il maiale.
Oggi allo strutto si predilige il burro e per farla diventare alta e soffice si utilizza il lievito di birra, ingrediente un po’ insolito per una torta.
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TAGLIATELLE FRITTE DELL’EMILIA ROMAGNA
Non fa una piega, direte voi. Concordo.
Bologna viene chiamata “la grassa”, mangiare tagliatelle fritte a Carnevale da quelle parti sembra quasi un dovere morale. Dimentichiamoci il ragù, però, che viene abbandonato per lasciar posto a zucchero e scorza di limone.
Non è la prima volta che m’imbatto in un dolce che trae ispirazione da un primo di pasta, per esempio in Agordino (provincia di Belluno) a Natale si preparano le Lasagne da fornel: la pasta, realizzata rigorosamente fresca per l’occasione, si taglia poco più stretta di un dito e viene farcita con mele, noci, fichi secchi, uvetta e cannella.

ARANCINI MARCHIGIANI
Non fatevi ingannare dal nome, qui non siamo in Sicilia e negli arancini non troverete riso, piselli e ragù.
I dolci tipici di Carnevale sembrano avere più di un comune denominatore, soprattutto negli aromi. Queste girelle lievitate, molto diffuse soprattutto ad Ancona, vengono arricchite con scorza d’arancia e passate nel miele.
Ne esiste una variante con scorza di limone, li chiamano limoncini.

MIGLIACCIO NAPOLETANO
Cambiamo regione per trovare un’altra torta che arriva sempre dalle campagne. Una volta si preparava con pane di miglio e sangue di maiale, oggi – per fortuna – sostituiti con semolino e burro, ai quali si aggiungono uova, ricotta, scorza di arancia, limone e spezie. Pare che la versione odierna richiami vagamente la pastiera ma non l’ho ancora mai assaggiata perciò, se mi sbaglio, chiedo scusa a tutti i napoletani che leggeranno questo articolo.
Il sangue di maiale era spesso utilizzato nella cucina contadina, perché molto nutriente. Per questo l’origine del migliaccio si colloca nelle campagne dove, se ci pensiamo, con i pochi ingredienti a disposizione hanno inventato la maggior parte di quelli che oggi chiamiamo i “piatti della tradizione”.

LA PIGNOLATA MESSINESE
Difficile non trovarla tutto l’anno nelle pasticcerie di Messina e aggiungerei per fortuna! La pignolata è sostanzialmente una montagna di palline di pasta fritte, ricoperta da due tipi di glasse: una bianca, aromatizzata al limone e una nera, al cioccolato.
Difficile stabilire quale sia la più buona, tanto vale prenderne un po’ dell’una e un po’ dell’altra e tagliare la testa al toro.
La pignolata è diffusa anche in alcune zone della Calabria, dirimpettaia della città, che ne condivide alcuni usi e tradizioni.
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I dolci tipici di Carnevale continuano, ma noi ci fermiamo qui
Uno dei nostri più grandi vanti – parlo di noi italiani, che ci lamentiamo sempre del nostro Paese – è la quantità e la varietà immensa di ricette regionali che possediamo.
In pochi luoghi al mondo si possono assaggiare tanti piatti della tradizione, nelle loro numerose combinazioni di sapore che li rendono unici, di casa in casa.
Quindi sì, potremmo andare avanti ancora parecchio a elencare i dolci tipici di Carnevale, ma è bene darsi un freno e qui chiedo a voi: a casa vostra, durante questo periodo un po’ matto, cosa si mangia?
