Sentite solo l’effetto che fa leggerne il nome ad alta voce: Guida Michelin – l’unica capace di determinare l’ascesa o la caduta di un ristorante d’alta cucina. Vi raccontiamo perché dovreste concedervi un pasto stellato, di come dietro al mito si celino oscuri misteri e altre cose interessanti sulla guida gastronomica più famosa della storia.

Guida Michelin: il primo caso di brand journalism
Cominciamo dal principio. “La Rossa”, come viene chiamata, è decisamente la guida delle guide, il sacro graal dell’alta cucina. È stata la prima guida in assoluto e oggi nei corsi di marketing e comunicazione viene narrata come uno dei primi esperimenti di brand journalism della storia.
La Guida Michelin è nata in Francia nel 1900, grazie ai fratelli André ed Édouard Michelin, con l’idea di omaggiare chi acquistava gli pneumatici Michelin con una raccolta stampata di officine di riparazione, hotel nei quali pernottare e itinerari interessanti. Un progetto estemporaneo, ma pur sempre legato all’idea del viaggio.
La svolta arrivò quando, per evitare che la guida venisse bistrattata e utilizzata come sostegno per tavoli traballanti, i suoi ideatori decisero di farla costare 7 franchi, inserendovi anche i migliori ristoranti.
Il trittico stellare venne introdotto nel 1931: una stella per “interessante”, due stelle quando “vale il viaggio”, tre se addirittura “merita una deviazione”.


L’approdo in Italia
Nel 1956 “la Rossa” arriva in Italia, sebbene non copra l’intera penisola, cosa che avverrà già nell’anno successivo.
Il primo chef italiano a ottenere le tre stelle Michelin è il Maestro Gualtiero Marchesi con il ristorante di via Bonvesin de La Riva a Milano.
Oggi lo chef Massimo Bottura ha raggiunto l’apice del firmamento con 4 stelle, aggiudicandosi anche la stella verde.


I criteri di assegnazione delle stelle Michelin e la stella verde
Per raggiungere la volta celeste un ristorante deve decisamente lavorare sodo: si richiede qualità delle materie prime, originalità e personalità dello chef nei piatti proposti; padronanza delle tecniche, rapporto qualità/prezzo (non ridete) e continuità nel tempo.
Ma la Guida Michelin si è evoluta e dal 2020 premia i ristoranti all’avanguardia sul tema della sostenibilità con una stella verde. A meritarla sono gli chef che lavorano nel rispetto dell’ambiente, valorizzano i prodotti del territorio, utilizzano tecnologie che consentano un basso impatto energetico e collaborano attivamente con la comunità locale.

Burnt Ends


Foto: @charissa_fay via @michelinguide
Il mistero dietro al mito e un pizzico di polemica da chi ha rifiutato le stelle Michelin
“Critici, da oggi vi critico io”
Ironico lo slogan di Gualtiero Marchesi, che nel 2008 rifiutò le stelle.
Il Maestro diceva: “Ciò che più m’indigna è che noi italiani siamo ancora così ingenui da affidare i successi dei nostri ristoranti — nonostante i passi da gigante che il settore ha fatto — a una guida francese. Che, lo scorso anno, come se niente fosse, ha riconosciuto il massimo punteggio a soli 5 ristoranti italiani, a fronte di 26 francesi. Se non è scandalo questo, che cos’è? […] Quando, in giugno, polemizzai con la Michelin lo feci per dare un esempio; per mettere in guardia i giovani, affinché capiscano che la passione per la cucina non può essere subordinata ai voti. So per certo, invece, che molti di loro si sacrificano e lavorano astrattamente per avere una stella. Non è né sano, né giusto“.
Ma non fu il primo, né l’ultimo a liberarsi dei blasoni. Cominciò Marco Pierre White nel 1999, che si domandava perché mai dei giudici meno competenti di lui dovessero decidere delle sorti della sua carriera.
La verità è che molti chef vedono la stella come un enorme fardello. Ha un peso importante – nel bene e nel male – sul destino di un ristorante, che spesso imbriglia creatività e libertà d’espressione.

Di ambiguità, compromessi e pneumatici
Le stelle per un ristoratore d’eccellenza possono cambiare tutto. Si parla addirittura di una crescita del 25% in tre anni.
Non stupiscono, quindi, tutte le dietrologie e i complottismi che ne avvolgono l’indiscutibile mistero (e fascino).
I più maligni sostengono che per ottenere la stella si debbano acquistare prodotti francesi o, addirittura, pneumatici. Sembrano sterili polemiche, nulla di veramente confermato.
Sebbene la Michelin rimanga un mito indiscusso, ciò che ne alimenta l’ambiguità è il fatto che sembri un’istituzione molto chiusa e poco chiara su quelli che sono i criteri di valutazione e le scelte dei giudici.


Gastronomi anonimi
Ma chi saranno mai questi giudici tanto potenti da riuscire a segnare l’ascesa o la caduta di un ristorante?
Quando siedono a tavola lo fanno in forma completamente anonima e, chiaramente, pagano il conto come un qualsiasi altro cliente.

Hanno il compito di immortalare su carta il proprio giudizio appena terminato il pasto e possono farlo, così pare, in modo totalmente libero e indipendente.
Gli ispettori Michelin vengono stipendiati secondo il contratto collettivo della gomma e della plastica dal colosso degli pneumatici Michelin, sono circa una novantina, e vagano nell’anonimato intorno al mondo scambiandosi i paesi tipo figurine e, il fatto che non esistano referenti di zona, dovrebbe rendere il giudizio più obiettivo.


La guida Michelin fra mito e leggenda e il profilo tipo del mangione stellato
Ci sono prospettive molto diverse nell’immaginario collettivo generale riguardo al ristorante stellato, ve ne elenco qualcuna:
- lo scettico: non li prova neanche, perché è certo che il gioco non valga la candela. Dovete immaginarlo come il tipo che, davanti a un quadro di Pollock, dichiara che sarebbe capace di farlo anche suo figlio. In questo caso l’idea di spendere un sacco di soldi per rimanere pure affamato lo innervosisce;
- il cultore: è colui che mette da parte un gruzzoletto per concedersi un pasto stellato ogni tanto. Sul frigorifero ha attaccato la foto di Bottura e sogna l’Osteria Francescana. Vive un po’ nel mito, ma certamente onora la tavola stellata come nessun altro;
- l’occasionale: ogni tanto ci si ritrova e gli piace, ma non gli verrebbe mai in mente di cercare l’esperienza stellata in autonomia, né per la gloria, né per cultura, tantomeno per fame;
- quelli che “vanno presi da piccoli”: sono i miei preferiti. La famiglia allo stellato ci mangia per una questione culturale. E li vedete quei ragazzini: a tavola stanno seduti più composti di voi, raramente si inebetiscono con tablet e iPhone e cresceranno con papille gustative talmente erudite che schiferanno le lasagne di nonna;
- il mio ex capo: se uno chef stellato gli presentasse una bistecca di cartone applaudirebbe, ma l’idea di festeggiare il San Valentino in un posto senza stella lo destabilizza.




Perché dovete assolutamente provare un ristorante stellato
Togliete le polemiche, i blasoni e i falsi miti. Lasciate che sia solo il cibo a raccontarvi del talento di chi sta in cucina. Non dimenticatevi che lo chef altro non è che un artista col disperato bisogno di esprimersi.
La materia, nel suo caso, sono gli ingredienti e voi dovete sedervi a tavola attendendo che vi racconti una storia. Saranno i colori, le forme e le texture a parlare. Non siate scettici, abbandonatevi al suo talento e rimarrete felici e sazi, posso assicurarvelo.

Ma la Michelin non è l’unica guida che possiamo consultare, ce ne sono alcune altrettanto interessanti, ma di questo vi racconterò in una prossima puntata.