“A Sergio, senti ‘ste olive queste so’ greche”. Vi racconto tutte le curiosità sulle olive che conosco e anche quelle che ho scoperto scrivendo questo articolo. Perché gli argomenti per imbastire una buona conversazione a tavola non sono mai troppi.
Vuoi mettere prendere l’olio in mano durante la cena e dire ai tuoi commensali: “Ma voi lo sapete che esistono 500 diverse varietà di olive? Che poi altro non sono che i frutti dell’Olea Europaea (sottotitolo per le menti più semplici: l’olivo): una delle piante più longeve diffuse nel Mediterraneo”.
Avere certe informazioni serve ed è per questo che sto per farvi una carrellata di curiosità da sfoderare alla bisogna. Aggiungo anche che ci siamo: a ottobre inizia il periodo di raccolta delle olive, che terminerà a dicembre, quale momento migliore, quindi, per potervi pavoneggiare raccontando qualche ghiotto aneddoto su questo magico frutto.
Curiosità sulle olive che un giorno vi serviranno
Per i bevitori di classe e le inesorabili spugne
Infilano il naso nel bicchiere, lo fanno roteare, assaggiano, allontanano il bicchiere per osservarlo da un’altra prospettiva e ritornano ad annusare: sono i sommelier del pranzo della domenica, ma spesso anche delle spugne senza ritegno.
A loro potete far notare un fatto estremamente interessante: laddove c’è la vite quasi certamente ci sono anche gli olivi. Perché?
Ho letto diverse testimonianze in merito, c’è chi racconta che gli olivi un tempo servissero per ripararsi dal sole durante l’ora del pranzo, quando si lavorava tra i vigneti; oppure chi sostiene che, essendo l’olivo più longevo della vite, rimanga a decorare l’habitat quando la vite muore e viene espiantata.
Certo produrre l’uno e l’altro, e quindi diversificare, è utile ad aumentare gli incassi.


Per gli studiati
Plurititolati ed esperti di arte, storia e letteratura sono spesso un pubblico difficile, anche perché intavolano conversazioni fittissime e ricche di dettagli nelle quali è difficile inserirsi (a meno che non abbiate salvato tra i preferiti l’utilissimo post sulle citazioni di Seneca). Ma a un mito greco non potranno resistere.
La leggenda narra che Zeus propose una sfida tra Atena e Poseidone per contendersi il patronato su Atene: creare due doni, dei quali uno sarebbe stato il preferito degli ateniesi.
Poseidone fracassò il suo enorme tridente sulla roccia dell’Acropoli e fece sgorgare da una pozza di acqua salmastra il cavallo, mentre Atena diede vita a un olivo.
Gli ateniesi scelsero proprio il dono di Atena, perché estremamente versatile: le foglie vennero utilizzate per decorare le teste degli atleti, il legno per costruire case e barche, l’olio per condire il cibo.


Per gli ambassador del cibo italiano nel mondo
Sono quelli che “Come mangi in Italia nessuno mai”, “La cucina della mamma la batte solo quella della nonna”, “Perché viaggiare all’estero quando in Italia abbiamo tante bellezze e la cucina regionale è così ricca”. Li amo e nel mio intimo sono d’accordo su tutto. Loro sono i commensali ai quali raccontare la storia delle olive ascolane.
Oliva Ascolana del Piceno Dop
L’Oliva Ascolana del Piceno è la madre di tutte le olive. Pare l’assaggiò pure Cleopatra che disse: “Felice il Piceno ad avere tali tesori per il palato”.
Dop dal 2005, il disciplinare comprende esclusivamente le olive provenienti dalla varietà d’olivo Ascolana Tenera, prodotte in alcuni comuni della provincia di Ascoli Piceno e preparate in salamoia o ripiene, sempre nel rispetto di alcune severissime regole.
L’oliva all’ascolana è il tipico prodotto da aperitivo a casa o al bar. A me vengono subito in mente quelle surgelate francamente, ma le originali sono tutta un’altra partita. Si preparano con carne di bovino e suino (sebbene siano tollerati anche pollo e tacchino in una minimissima parte) che si condisce con uovo e formaggio stagionato, ma anche un minimo di salsa di pomodoro, chiodi di garofano, pepe e buccia di limone grattugiata.
La panatura è a base di uova, farina e pangrattato.


In salamoia: il nome latino colymbades, che deriva dal greco κολυμβάω (colymbáo, “nuotare”), si riferisce al metodo di conservazione usato all’epoca: le olive venivano sottoposte a diversi lavaggi e, successivamente, conservate in salamoia.
La via Salaria era la strada che conduceva i legionari romani da Roma al Mar Adriatico ed era costellata di olivi, piantati a ridosso dei depositi di sale.
Quando pioveva le olive cadevano all’interno delle grosse vasche di sale, avventurandosi in una salamoia naturale che le conservava perfettamente. I soldati le adoravano.
Ripiene: come tante buone cose anche le olive ripiene nascono dalla necessità. Gli chef delle nobili famiglie ascolane preparavano parecchi piatti di carne, ma all’epoca le tecniche di conservazione non esistevano, così per consumare la carne in eccesso la riutilizzavano in ricette diverse e bellissime come questa.
Secondo alcune leggende vaticane papa Sisto V e i suoi Principi e Cardinali nel 1583 ne andavano ghiotti, a tal punto da farsele spedire direttamente in Vaticano.
I cucinieri moderni e lo scambio di ricette
Fermarsi alle olive all’ascolana sarebbe decisamente da veri principianti, perché in Italia di ricette che glorificano al massimo questo ingrediente ce ne sono parecchie, per esempio: chi non ha mai mangiato il pane alle olive, da nord a sud è raro che un panificio non lo venda.
L’oliva è praticamente il primo snack della storia, un caposaldo dell’aperitivo, nonché il valore aggiunto di ogni rispettoso Martini Cocktail.

C’è poi la mitica fügassa genovese, che talvolta può vantare una pioggia di ottime olive. A Catania le fanno cunzate, che siano nere o verdi, con aglio, peperoncino piccante, aceto, foglie di menta, a volte alloro e il prezzemolo. Le vendono alla fera ‘o luni (il mercato di Catania) e a casa mia sono sempre il clou dell’aperitivo.
A Messina quelle verdi in salamoia le mettono nel tradizionale piscistoccu a’ ghiotta ovvero lo stoccafisso cucinato con un ricco sugo che si può utilizzare anche per la pasta.
Come dimenticare, poi, il coniglio alla cacciatora toscano, il pollo con le olive al Frascati, tipico dei Castelli Romani, e le focaccine alle olive e rosmarino della boss?



“Olivolì, Olivolà, Olivolì, Olive Saclà!” per i nostalgici
Negli anni ’70 olive e sottoli in generale diventano un vero must delle dispense di casa. Sebbene a Piera Campanella e Secondo Ercole l’idea di conservare l’eccedenza dei prodotti che coltivano e vendono venne già nel lontanissimo 1939.
Pronti all’uso tutto l’anno, comodamente venduti all’interno dei barattoli di vetro, che con un buon lavoro di marketing sono diventati un pezzo fondamentale della gastronomia casalinga italiana.
Chi guardava Carosello non può aver dimenticato il magico motivetto: “Olivolì, Olivolà, Olivolì, Olive Saclà!”.
Da questa fonte, pare addirittura che proprio la celebre Saclà abbia introdotto per prima la commercializzazione su larga scala delle olive denocciolate. Ma il condizionale è d’obbligo perché ormai il podcast DOI ci ha insegnato a dubitare di tutto…

Fashion addicted, designer ed esteti
Nome in codice #8D8B55, per i non addetti ai lavori verde oliva (Green Olive). Ha trovato la sua massima espressione nella moda e nell’interior design. La definizione verde oliva potrebbe aver visto la luce addirittura in epoca medievale, sebbene non ci siano fonti certe a testimoniarlo.
Ѐ spesso confuso con il verde militare, ma Pantone li differenzia: il Military Olive (#645B40) insieme all’Ultramarine è stato il colore autunno/inverno delle collezioni di moda 2020/21.



Random: altre curiosità sulle olive degne di nota
Le olive denocciolate venivano anticamente chiamate alla giudea, perché prive dell’anima.
Garibaldi il 25 gennaio 1849 assaggiò le olive ascolane e decise di coltivarne alcune piante a Caprera, per potersi preparare la ricetta in casa.
Se ve lo state chiedendo, “fin dalle origini l’italiano aveva a disposizione per indicare l'”albero del genere Olea, coltivato per la produzione di olio” entrambe le forme maschili olivo e ulivo, accanto alle femminili corrispondenti oliva e uliva“ così dice l’Accademia della Crusca e noi possiamo solo annuire e obbedire.
L’antenato del Martini si chiama cocktail Martinez: un miscelato che risale ai tempi della corsa all’oro americana, 1850. Fu tra i primi cocktail ad unire vermut e gin, sebbene la ricetta prevedesse vermut rosso e gocce di bitter.

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