Dicembre, tempo di regali di Natale, di giornate lente, di pomeriggi pigri sul divano mentre fuori è brutto tempo. Ma, soprattutto, tempo di banchetti luculliani, di pranzi che iniziano all’una e si trasformano lentamente in cena, di ricette tradizionali o più ricercate, tentativi mal riusciti e modi creativi di riutilizzare gli avanzi (da noi l’insalata di pollo è di rigore la sera del 25, dopo che il suddetto pollo si è prestato di buon grado a fare il brodo). Ma, se pensate che i vostri pranzi siano un filino esagerati, vuol dire che non siete mai incappati in uno di quei pasti celebri raccontati nei romanzi, dall’antica Roma ai giorni nostri. Ecco allora una carrellata dei banchetti da romanzo più abbondanti che ci siano: preparate una buona tisana digestiva prima di leggere.
Pasti celebri dei romanzi: a cena da Trimalcione
Oltre ai banchetti luculliani che prendono il nome dal foodie Lucullo, il generale romano che a un certo punto decide di concedersi una pensione dorata (e pranzi e cene degni di un re), se pensiamo all’antica Roma non possiamo non menzionare la cena di Trimalcione che Petronio racconta nel Satyricon.

Lui, Trimalcione, è un ex schiavo liberato e arricchito che fa sfoggio di tutto il suo patrimonio in un pasto che definire un poco esagerato è un delicato eufemismo. Sentite qua:
“Così finalmente ci mettemmo a tavola […]. Fu servito comunque un antipasto di gran classe, che tutti ormai erano a tavola, all’infuori di lui, Trimalcione, al quale in nuova usanza era riservato il primo posto.
Quanto al vassoio, vi campeggiava un asinello in corinzio con bisaccia, che aveva olive bianche in una tasca, nere nell’altra. Ricoprivano l’asinello due piatti, su cui in margine stava scritto il nome di Trimalcione e il peso dell’argento. E vi avevano saldato ancora dei ponticelli, che sostenevano ghiri cosparsi di miele e papavero. E c’erano dei salsicciotti a sfrigolare su una graticola d’argento, e sotto la graticola susine di Siria con chicchi di melagrana.

Intanto, mentre lui tra una mossa e l’altra dava fondo al vocabolario dei carrettieri, dinanzi a noi, che eravamo ancora all’antipasto, fu collocato un vassoio con sopra una cesta, in cui c’era una gallina di legno con l’ali aperte a cerchio, come stanno di abitudine quando covano.

Si accostano subito due schiavi, che in un concerto assordante prendono a frugare tra la paglia e tiratene fuori uova di pavone su uova, le dividono tra i convitati […]. Riceviamo dei cucchiaini da mezza libra almeno e rompiamo quelle uova rivestite di pasta frolla. Io però fui a un pelo dal gettar via la mia porzione, ché in effetto mi pareva ci fosse già il pulcino. Ma poi, quando sento da un commensale di vecchia data – Qui dev’esserci qualcosa di buono -, frugo con la mano dentro il guscio e trovo immerso nel tuorlo pepato un beccafico bello grasso”.

A tavola col principe
Cosa può esserci di più ricco di un pranzo siciliano? Un pranzo siciliano di fine Ottocento! Nel Gattopardo Giuseppe Tomasi di Lampedusa racconta le vicende del principe di Salina, e lo fa anche attraverso i racconti di banchetti e cene. Ma il grande protagonista di uno dei menu del romanzo è lui: il timballo di maccheroni. Mai pensato di replicare la ricetta?

“Quando tre servitori in verde, oro e cipria entrarono recando ciascuno uno smisurato piatto d’argento che conteneva un torreggiante timballo di maccheroni, tutti manifestarono il loro sollievo in modi diversi. Buone creanze a parte, l’aspetto di quei monumentali pasticci era ben degno di evocare fremiti di ammirazione. L’oro brunito dell’involucro, la fragranza di zucchero e cannella che ne emanava, non erano che il preludio della sensazione di delizia che si sprigionava dall’interno quando il coltello squarciava la crosta: ne erompeva dapprima un fumo carico di aromi e si scorgevano poi i fegatini di pollo, le ovette dure, le filettature di prosciutto, di pollo e di tartufi nella massa untuosa, caldissima dei maccheroncini corti, cui l’estratto di carne conferiva un prezioso color camoscio”.

Tra i pasti più celebri dei libri c’è l’ora del tè da Alice
Dopo il cenone, il pranzo di Natale, le lenticchie e il cotechino, volete qualcosa di più leggero? Allora potete prendere un tè come Alice nel paese delle meraviglie. La cosa curiosa è che Lewis Carrol riproduce esattamente i dialoghi che si fanno quando attorno alla tavola si radunano decine di parenti e nessuno fa un discorso sensato.

“Il Cappellaio fu il primo a rompere il silenzio. – Che giorno del mese abbiamo? – disse, volgendosi ad Alice. Aveva cavato l’orologio dal taschino e lo guardava con un certo timore, scuotendolo di tanto in tanto, e portandoselo all’orecchio.
Alice meditò un po’ e rispose: – Oggi ne abbiamo quattro.
– Sbaglia di due giorni! – osservò sospirando il Cappellaio. – Te lo avevo detto che il burro avrebbe guastato il congegno! -soggiunse guardando con disgusto la Lepre di Marzo.
– Il burro era ottimo, – rispose umilmente la Lepre di Marzo.
– Sì ma devono esserci entrate anche delle molliche di pane, – borbottò il Cappellaio, – non dovevi metterlo dentro col coltello del pane.
La Lepre di Marzo prese l’orologio e lo guardò malinconicamente: poi lo tuffò nella sua tazza di tè, e l’osservò di nuovo: ma non seppe far altro che ripetere l’osservazione di dianzi: – Il burro era ottimo, sai”.

Cosa fai a capodanno? Le feste da Gatsby

Lasciate perdere l’intimo rosso, lo spumante nel frigo e la TV accesa su Rai 1 per seguire il conto alla rovescia. Le feste DAVVERO glamour sono solo quelle che Francis Scott Fitzgerald mette in scena ne Il grande Gatsby, tra lucine colorate, tacchini ripieni e prosciutti al forno. E ovviamente tanto, ma tanto gin.

“Almeno una volta ogni quindici giorni un’intera squadra di fornitori arrivava con centinaia di metri di tela e lampadine colorate sufficienti a trasformare il giardino enorme di Gatsby in un albero di Natale. Sulle tavole dei rinfreschi, guarnite di antipasti scintillanti, i saporiti prosciutti al forno si accatastavano, coperti da insalate dai disegni arlecchineschi insieme a porcellini e tacchini ripieni, trasformati come per magia in oro cupo.
Nel salone principale era impiantato un bar con un’autentica ringhiera di ottone, stracarico di gin e di liquori e di cordiali di marche dimenticate da tanto tempo che quasi tutte le invitate erano troppo giovani per poter conoscere. Alle sette è arrivata l’orchestra, non una cosetta di cinque elementi, ma un intero mucchio di oboe e tromboni e sassofoni e viole e cornette e flauti e tamburi grandi e piccoli”.

Esplorate la sezione dedicata al Natale qui su Marte: troverete idee per i regali, ricette e tante curiosità sulle feste.
