Mettiamo un po’ di pepe a questo post: voglio raccontarvi i fallimenti celebri del mondo food che preferisco, sono sei e posso garantirvi che tutti ci insegnano qualcosa.
Un giorno qualcuno mi ha raccontato che un mio ex vicino di casa era stato beccato a preparare la pasta come neanche in America farebbero mai, ovvero mettendo tutti gli ingredienti della ricetta dentro l’acqua in ebollizione. Ve lo giuro. C’è poi la leggenda della ragazza convinta che, se spezzati a metà, gli spaghetti aumentassero in quantità e peso. Conosco anche la storia di un’altra ragazza che nel preparare dei muffin utilizzò un po’ troppo bicarbonato. Per presentarli in famiglia come primo capolavoro li mise anche in un cestino di vimini alla Bree Van de Kamp, ma quando i suoi familiari li assaggiarono si scoprì che sapevano praticamente da dentifricio. Ops… quella ragazza ero io!
Al grido di nessuno è infallibile, specialmente in cucina, oggi siglo il mio riscatto sociale raccontandovi i fallimenti del mondo food incredibili e a tratti leggendari.
1. Il caso Barilla
Sembra che quel giorno i corridoi dell’azienda fossero avvolti nel silenzio e che tutti i membri dell’ufficio stampa Barilla ascoltassero le parole del loro leader pietrificati, come in uno di quei sogni dove vorresti urlare ma ti manca la voce, avete presente?
Dove c’è Barilla c’è casa, siamo cresciuti così, tutti. Eppure c’è stato un momento della storia di questa azienda nel quale ad alcuni è sembrato d’essere buttati fuori dalla porta, mi riferisco alla comunità LGBT. Il momento in questione è quando Guido Barilla alla domanda posta dal conduttore di La Zanzara su Radio 24 Giuseppe Cruciani “Perché non fate uno spot con una famiglia gay?” ha risposto:
“Noi abbiamo una cultura vagamente differente. Per noi il concetto di famiglia sacrale rimane uno dei valori dell’azienda (…) La nostra è una famiglia tradizionale. (…) Se gli piace la nostra pasta e la nostra comunicazione la mangiano, se non gli piace la nostra pasta e non gli piace quello che diciamo ne mangeranno un’altra. (…) Non lo farei, ma non per mancanza di rispetto agli omosessuali, che hanno diritto di fare quello che vogliono senza disturbare gli altri, ma perché non la penso come loro e la famiglia a cui ci rivolgiamo è una famiglia classica.“


Che mangino le brioche, insomma, o al massimo altri tipi di pasta. Il giorno dopo ANSA titolava: Guido Barilla: mai spot con famiglia omosessuale, Le Matin: Les gays n’ont qu’à manger d’autres pâtes, e anche tutti gli altri giornali del mondo sembravano non essersi persi la notizia, da lì potete immaginare la rivolta.
Non c’era molto da fare se non chiedere scusa.
L’hashtag è il nuovo urlo di battaglia
#boicottabarilla è stato l’urlo di battaglia con il quale l’invito a mangiare altre paste venne accolto e preso in parola. Il boicottaggio del gigante dell’industria alimentare non fu proprio uno scherzetto da poco e, mentre l’azienda parmigiana colava a picco, i competitors sciacallavano sull’immensa gaffe di Barilla. Buitoni scriveva su Facebook: “A casa Buitoni c’è posto per tutti” e Garofalo “Le uniche famiglie che non sono Garofalo sono quelle che non amano la buona pasta”.
Oggi la bufera è passata, ma certe onte non si dimenticano mai.

2. Da epic fail a ricetta cult: la crêpe Suzette
Nell’ambiente culinario girano alcune storie che ad ascoltarle sembrano le favole che la mamma ci raccontava da bambini allo scopo di motivarci e convincerci che il lieto fine esiste. Sono dicerie o veri e propri miti legati alle ricette più famose della storia, come nel caso delle crêpe Suzette.
Era il 1895 e un certo Henri Charpentier lavorava al Café de Paris di Monte Carlo sotto l’ala di Auguste Escoffier. Una sera doveva preparare le crêpe per il principe Edoardo VII, ma ebbe qualche problemino con i liquori per la salsa di arancia, che bruciò drasticamente. Con un picco d’audacia che nemmeno chi si presenta da Bruno Barbieri col piatto vuoto a MasterChef, Charpentier servì il suo pasticcio al principe che, come accadrebbe in una qualunque fiaba Disney, si leccò i baffi. Lo zucchero si era caramellato e squisitamente sposato con l’aroma d’arancia. Il nome della ricetta è un omaggio alla commensale di Edoardo VII che gustò con lui quello che sarebbe diventato uno dei dessert più celebri della storia.


3. Il caso Wild Turkey
Questa storia non è per deboli di cuore né per animalisti impressionabili.
Ci troviamo in America, nella città natale del Wild Turkey Burbon, Lawrenceburg, nel Kentucky. È qui che i fratelli Ripy hanno aperto la distilleria di famiglia nel 1855. Il Wild Turkey, che poi prende il nome dalla collina sopra la quale sorge l’edificio, è ancora oggi uno dei bourbon più noti e iconici, ma c’è un piccolo neo nei suoi trascorsi che non troverete di certo nella cronistoria aziendale, e io sono qui per raccontarvelo! Ho tentato di approfondire la vicenda, cercando notizie anche su fonti estere, ma purtroppo ho trovato pochino, forse c’è stato un processo di rimozione qua e là, e comunque non è un fatto recente.




Pare che i proprietari di Wild Turkey per celebrare l’azienda assunsero un ufficio marketing che propose di far volare uno stormo di meravigliosi tacchini sulla città natale dell’azienda. Idea stupenda, peccato che ci si accorse troppo tardi che i tacchini non volano. Così invece di Piovono polpette è andato in scena un raccapricciante horror: Piovono tacchini.
4. Fine Dining verso il declino?
Quest’anno abbiamo assistito a qualcosa di grosso, non so se ne siete consci.
Nel 2024 il Noma chiuderà. E stiamo parlando del ristorante danese che per ben cinque volte è stato eletto il miglior ristorante del mondo. L’annuncio è stato dato il 9 gennaio sui social del ristorante con un video che dichiarava: “Per continuare ad essere Noma dobbiamo cambiare”. Dopo un’ultima stagione di servizio, quindi, il ristorante si fermerà per sempre allo scopo di riorganizzarsi, con l’idea di trasformarsi in un laboratorio permanente, continuando a produrre piatti per il progetto di e-commerce Noma Projects.
La novità pare aver sconvolto ma non meravigliato, perché questo idillio stellare sembra avere non poche lacune. Nei giorni successivi alla notizia sembra essersi sparsa una febbre molto contagiosa: Norbert Niederkofler (tre stelle Michelin con il suo St.Hubertus a San Cassiano) ha dichiarato che chiuderà per ristrutturazione e riaprirà con un nuovo progetto e Filippo La Mantia ha messo in pausa il suo ristorante al primo piano del Mercato Centrale di Milano perché non trova personale.
Tutto questo rattrista, ma è certamente il ritratto di un’era nella quale, forse, l’alta cucina sta subendo il suo declino, perché le spese a cui devono fare fronte gli chef stellati, tanto quanto il pizzaiolo di provincia, sono alte e difficili da sostenere. Si mormora, anzi ormai il tono di voce è diventato anche piuttosto alto e deciso, che la cucina stellata non sia più sostenibile. Staremo a vedere.


5. E quando un ragazzo si convinse di poter vincere un jet militare con i punti Pepsi?
Ci siamo passati tutti, la raccolta punti è un’impresa confortevole, che non richiede particolari dosi di fortuna, ma solo placida costanza. Abbiamo raccolto i punti con la spesa al supermercato, mangiando merendine e bevendo bibite gassate, ma quanti di noi hanno ambito a più di un servizio di tazze o un set di asciugamani?
La risposta esiste ed è: solo John Leonard, che nel 1996, guardando uno spot Pepsi, si convinse di potersi guadagnare un aereo da guerra Harrier, di quelli che qualche tempo prima l’America aveva utilizzato per la Guerra del Golfo. La ragione è semplice, anche se fa sorridere, la Pepsi all’epoca aveva creato uno spot nel quale dichiarava che più punti collezionavi più grosso sarebbe stato il premio, ma al massimo potevi accaparrarti una bicicletta. Fuorviante è stata, almeno per Leonard, la scena nella quale un ragazzo scendeva da questo fantomatico aereo da guerra. La didascalia riportava: “Harrier Fighter 7,000,000 Pepsi Point”.
Leonard si convinse di poter raggiungere il premio, era pazzo, forse, ma non sprovveduto: fece i suoi calcoli e stimò che per 7 milioni di punti avrebbe dovuto comprare 16,8 milioni di lattine di Pepsi, troppe. Allora, business plain alla mano, Leonard valutò di comprare i punti per la bellezza di 700mila dollari, ovviamente aveva bisogno di investitori e li trovò, tanto che riuscì a mandare alla Pepsi un assegno della cifra necessaria. Un bel problema.
In realtà mi ero assolutamente convinta che quella della Pepsi potesse ritenersi pubblicità ingannevole, in effetti fu quello che gli avvocati di Leonard sostennero quando l’azienda rispose al ragazzo che non c’era in palio nessun jet. Tuttavia ho letto che alla fine la Corte emise una sentenza a favore di Pepsi, sostenendo che fosse chiaro che la pubblicità scherzasse… effettivamente.
6. Tutti ci meritiamo un posto al Museum of Failure, le lasagne Colgate ce l’hanno
Quando ho scoperto che esiste un museo del fallimento mi sono un po’ emozionata nel pensare quante delle mie gesta o delle mie creazioni meriterebbero un posto nelle sue gallerie. Cosa contiene questo luogo che glorifica la disfatta? Prodotti e servizi della storia che hanno avuto vita breve.
Tra i capolavori del fallimento ci sono le lasagne surgelate di Colgate, brand che tutti noi conosciamo per dentifrici e spazzolini, ma che negli anni ’80 ha ipotizzato di differenziare proponendo una serie di prodotti surgelati da consumare prima di lavarsi i denti. WTF?!
Le lasagne Colgate sembra non abbiano mai visto la luce, a quanto pare il Colgate Kitchen Entrees, dipartimento dedicato al settore food della Colgate-Palmolive, aveva però avviato uno studio di un prototipo da lanciare sul mercato, confezione compresa.

Fallire è lecito
In cucina o nella vita il fallimento è un nostro diritto, ma se questi casi ci insegnano qualcosa è che dobbiamo imparare a comunicare i nostri errori al meglio, magari diventeranno capolavori! Sembra chiaro che il cibo in queste storie abbia il ruolo principale, ma a fare da co-protagonista è sempre la comunicazione, perfino ai tempi di Henri Charpentier.
A proposito di fallimenti del mondo food, giusto qualche anno fa vi avevo parlato del catastrofico debutto di Pippa Middleton come food writer con il suo libro di ricette Celebrate – A year of British festivities for family and friends. L’avevate forse dimenticato?
2 Commenti
fortissimo questo post, idee molto creative
😀