Spero che anche voi abbiate qualche parola che proprio vi irrita e non
sopportate, quelle parole che suonano male come una canzone di Gianluca
Grignani ubriaco, quelle che a ripeterle venti volte di seguito perdono
senso d’esistere, quelle che puzzano solo a nominarle (FIATELLA).
Avete
delle parole che odiate, vero?!
Perché l’analista di gruppo magari costa meno, altrimenti ditemelo che provvedo da sola.
Ogni anno mi interrogo anche sul perché la moda sciorini neologismi di
cose già viste e indossate decenni fa, ma poi dico ok è il marketing, se
vestiti e accessori non cambiassero il nome ci sembrerebbe di averli
già avuti e indossati abbastanza e invece così nooooo ci facciamo
fottere senza dignità.
▶ Nostra madre esce di casa con sabot, salopette e secchiello ed è troppo fuori moda, non s’affronta.
▶ Noi invece che varchiamo la porta con mules, overall e bucket bag, allora sì, voguistas subito.
Ma queste parole non le posso odiare, perché sono passeggere come la
moda e non vengono issate come stendardi da socio-intellettuali che
sfoggiano quei tre concetti chiave nelle loro conversazioni troppo top
tipo:
❋ interessante il tentativo della trasposizione cinematografica ma la
struttura narrativa ne è uscita violentata (il film non è male ma il
libro che non ho manco letto è meglio)
❋ la vera musica del resto rimane sempre il rock progressive (infatti sotto la doccia sento sempre Anaconda di Nicki Minaj)
❋ a viaggiare ci si rende conto di quanto l’Italia purtroppo viva in un profondo stato di degrado e di preoccupante abbandono (sono andato solo in Svizzera a far benzina ma i marciapiedi erano puliti)
e che sfociano sempre nella tanto dibattuta problematica della MERITOCRAZIA.
Ma venne il disgraziato giorno in cui, un anno o due or sono, tutto
l’internet si appropriò di una parola diffusa in ambito dapprima letterario, poi anche marketing e cominciò a usarla genericamente a cazzo, auto proclamandosi
maestri supremi di tale disciplina: lo STORYTELLING.
Peccato che al concetto di arte della narrazione ci venga spontaneo associare Verga, Manzoni, Boccaccio.
Roba evidentemente troppo antica perché pare che I NUOVI VIRTUOSI dello storytelling siano quelli che ci raccontano che si è
smagliata la calza velata 8 denari mentre mangiavano un amazing gelato
al parco sempione ma che hanno dato poco peso al disgraziato evento
perché proprio in quell’istante è passato di lì Francesco Sole.
❥ Chiaramente la calza velata storytelling non è color carne ma nuance
pelle da diva del cinema italiano diretta da Fellini, Visconti e De
Sica.
❥ Chiaramente il Parco Sempione storytelling non è erba riarsa ma è un
manto di verde velluto costellato di margherite che finiranno sempre con
un m’ama.
❥ Chiaramente il gelato storytelling non è panna e fragola ma scrematura
dolce di lady bovina delle Dolomiti con frutto rosso cuoriforme varietà
Gorella, selezionato a mano da agricoltori assunti a tempo indeterminato
nelle campagne laziali.
❥ Su Francesco Sole non ce la faccio, scusate.
Per queste ragioni avevo cominciato a odiare la parola STORYTELLING, quando poi – dietro consiglio di Flavia Vento e Paolo Brosio – ho pensato di trasformare questo odio in amore fruttuoso: da oggi perculare lo storytelling diventerà il mio sport preferito.
Ora però pensiamo alle nostre nonne, coloro che hanno saputo insegnarci la vita raccontandoci i mazzi degli altri. Non pensate che, loro sì, siano i geni indiscussi dello storytelling?